Blu. No, verde... assolutamente non bianca.
Pff...
Cavolo, mi sentivo una femminuccia. Queste erano cose da donne, io non ci capivo niente.
Non potevo andare a chiamare mia madre, non l'avrebbe finita più di farmi domande su Tanya e sarebbe stato troppo imbarazzante.
Avevo bisogno di Bella. Questo era uno di quei momenti in cui avevo proprio bisogno di lei, peccato che non potessi andarla a chiamare.
Erano le 7.25 del mattino, anche lei sarà stata intenta a prepararsi per andare a scuola e non potevo trascinarla fino a qui, oltre al fatto che ero in boxer, certo.
Bella: se non fosse stato per lei non so come avrei fatto con la ricerca e non vedevo l'ora di arrivare a scuola. Sicuramente Tanya si stava chiedendo come fosse venuta.
Stavo cercando di vestirmi in modo... più carino, le ragazze fanno caso a queste cose, lo sapevo perché spesso sentivo mamma discutere con le amiche del circolo di quale ultimo completo alla moda si fossero comprate e bla bla bla, di come questa o quella avesse avuto un pessimo vestito l'ultima volta che l'avevano vista e bla bla bla.
Magari Tanya l'avrebbe notato. Magari stavolta, portandole la ricerca, mi avrebbe dato una chance... Avrei potuto chiederle se le andava di studiare insieme...
Uff. Non sapevo proprio come fare.
Bella.
Ufffffff.... Senza che me ne fossi reso conto, avevo già le mani chiuse a pugno tra i capelli e li stavo tirando forte.
La sera l'avevo fatta arrabbiare. Mi sentivo veramente in colpa. Lei era stata così disponibile.
Lei era la mia unica amica ed io l'avevo fatta arrabbiare.
Ok: avrei messo la camicia verde sotto la divisa.
Si era fatto tardi e dovevo sbrigarmi se volevo avere il tempo di mangiare qualcosa.
Mentre mi incamminavo verso la sala della colazione, ripensai a cosa avevo combinato la sera prima.
Le avevo detto che la sua tisana era la migliore, che neanche mia madre sapeva farla meglio.
Era la semplice verità, ma io avevo voluto dirglielo chiaramente, dal momento che lei era stata così carina ad offrirsi di aiutarmi, nonostante fosse tardi, oltre ad avermi portato la tisana, ovviamente, come se non fosse abbastanza.
Mi sentivo in dovere di dirle qualcosa di carino, di non stupido, non falso ma sincero. Visto che la stavo bevendo, mi buttai sulla tisana.
Le volevo bene. Le avevo sempre voluto bene, eravamo... come fratelli? Cugini? Eravamo gli unici amici l'uno per l'altra, anche se sapevo che i nostri genitori desideravano che entrambi ci accompagnassimo con ragazzi dei rispettivi ceti sociali.
Non c'era bisogno di doverle dire apertamente 'grazie' o di dirle che le volevo bene. Non erano cose che un ragazzo avrebbe dovuto fare con un'amica: sarei sembrato un pappamolla.
Inoltre, non volevo che potesse pensare che potessi volerle bene... in un modo diverso... Non volevo che anche lei mi considerasse uno stupido.
E poi a me piaceva Tanya.
No, niente parole.
A volte, per ringraziarci, ci scambiavamo innocenti baci sulle guance; era sempre stato un gesto spontaneo e naturale, almeno per me, anche se, vederla arrossire ogni volta, instillava nella mia mente il dubbio che a lei non piacesse essere baciata.
Per lo meno non da me.
Sì, definitivamente: si era innervosita per questo.
Io, curiosamente, era un po' di tempo che reagivo al suo nervosismo in modi che non sapevo spiegarmi.
L'avevo vista arrossire varie volte e lei, la sera prima, aveva ammesso di essere nervosa.
Quindi se era nervosa arrossiva e balbettava, quest'ultimo certamente meno di me. Si era così innervosita che non mi aveva voluto spiegare nulla e se n'era andata senza neanche guardarmi.
Forse non avrei dovuto permetterle di correggermi la ricerca, era stato troppo e sicuramente lei sarà stata stanca; avrei dovuto dirle di no ed ora, la mia unica amica, era arrabbiata con me.
Una volta raggiunta la sala dove prendevo la colazione con i miei genitori, mi sedetti al tavolo ed iniziai a mangiare, per essere raggiunto poco dopo da loro.
“Buongiorno, piccolo mio”
“M-m-ma-m-mm-a...” schioccai la lingua sul palato, in segno di dissenso, sospirando e scossi la testa. Avevo 14 anni, non ero più un bambino.
“E dai, Edward, lo sai che per me sarai sempre il mio piccolino”
Mi assalì baciandomi e stringendomi quasi soffocandomi; poco dopo mi lasciò ma, a quel punto, mio padre attaccò con la sua parte.
“Lo sai, Edward, che per tua madre sarà sempre così. Dovresti lasciarla fare”
Mia madre gli sorrise ampiamente, ma io non ero d'accordo. Deglutii il boccone aiutandomi con il latte e dissi: “S-s-s-e v-vo-i v-v-vo-o-l-l-e-t-te c-c-co-o-oc-cc-ol-a-a-r-e u-u-un ba-a-a-am-b-b-ino, f-f-f-a-a-t-e-e-ne u-u-un a-a...-”
“Edward! Come ti permetti? Chiedi subito scusa a tua madre!”
Io, invece, mi alzai, presi il mio zaino e mi diressi verso l'uscita.
Non bastava che fossi brutto, balbuziente, impacciato e che per questo non avessi amici a scuola, ma dovevano anche rendermi le cose più difficili!
Non si rendevano conto che era colpa loro?
Vidi passare, fuori dal cancello, lo scuola-bus che veniva a prendere Bella ogni mattina.
Non ci incontravamo mai di mattina.
Pochi minuti dopo mi raggiunse mio padre, tutto nervoso ed agitato, che brontolava:
“Dai, sbrighiamoci che sto facendo tardi a lavoro”
B-POV
la sera prima...
50, 51...
Continua a contare...
164, 165, 166...
Non fermarti...
353, 354...
521, 522...
637...
Conta.
Non. Sbattere. La. Porta.
Non vuoi che mamma e papà arrivino qui e ti vedano in...
Lacrime...
Nello stesso momento in cui pensai quella parola, i miei occhi mi tradirono e si misero a piangere.
Il mio corpo mi abbandonò e si lasciò cadere sull'uscio della porta, raggomitolandosi miseramente.
Avevo contato ogni singolo passo che separava la stanza di Edward dalla mia.
Mi ero concentrata sui numeri nella mia testa per non piangere, almeno non in corridoio, rischiando che qualcuno mi vedesse.
Non ero neanche passata in cucina a posare il vassoio con la sua tazza: era come se fossi stata un robot programmato.
La sua tazza era di fronte a me, sopra al vassoio, sul pavimento, che mi fissava.
Presi a delinearne le curve con la punta dell'indice, mentre ripensavo a cosa era successo.
Edward si era offeso perché avevo balbettato.
Io avevo balbettato perché gli volevo molto più bene di quanto fosse lecito.
Avevano ragione i miei genitori a cercare di dissuadermi: i nostri ceti sociali erano troppo distanti ed uno come lui non avrebbe mai potuto interessarsi a me.
Ormai ero grande e matura abbastanza da poter capire che, quello che vedevo realizzarsi solo nei miei desideri, accadeva solo nelle favole che leggevo da bambina.
Edward non aveva una reale bellezza fisica oggettiva, ma io … ne ero comunque affascinata.
Lui era così... diverso da tutti i ragazzi che incontravo a scuola e sapevo che
le sensazioni strane che provavo quando gli ero vicina dovevano per forza significare qualcosa.
Sapevo anche, purtroppo, che lui aveva una cotta per una ragazza della sua scuola, ovvero una del suo stesso ceto sociale.
Non l'avevo mai vista, dal momento che Edward non frequentava nessuno dei suoi compagni, ma lui l'aveva descritta come bellissima.
Cosa che io non ero affatto.
Altre lacrime ed altri singhiozzi mi sopraffacevano mentre il mio dito continuava a carezzare la sua maledetta tazza.
Lo odiavo.
Lui era esattamente come tutti gli altri, badava all'aspetto fisico e non a quello che c'era oltre un po' di trucco ed un paio di boccoli.
Quella sera, poi, ero stata sul punto di fare una madornale figuraccia.
Mi ero sovra-emozionata come al solito quando lui mi aveva baciata in risposta.
Lo faceva sempre perché lui era un ragazzo educato, probabilmente era qualcosa che gli aveva insegnato sua madre, il rispetto per le donne e quelle cose lì.
Era solo una cosa che lui si sentiva in dovere di fare ma, nonostante io sapessi benissimo che fosse un bacio forzato, ogni santa volta mi emozionavo come una scema.
Senza pensarci, avvicinai la tazza al mio viso e la appoggiai sulla mia guancia, la stessa che lui aveva baciato, coccolandola.
Ogni volta che lui mi vedeva arrossire, rideva, certamente.
Chi non l'avrebbe fatto? Ero una scema.
Avevo addirittura balbettato. Era normale che si fosse arrabbiato ed avesse chiesto spiegazioni: avrà pensato che lo stessi prendendo in giro.
Cosa avrei dovuto dirgli, 'Edward, balbetto perché mi piaci un casino e quando mi baci mi vengono le ginocchia molli '?
Gattonai, strisciando, fino al mio lettino, sul quale mi arrampicai stringendo ancora in mano la sua tazza.
Mi infilai astiosamente sotto le coperte e provai a tirare un bel respiro forte, ma i brutti pensieri, così come il dolore e le lacrime non cessarono.
Avvicinai nuovamente la tazza al mio viso e poggiai le mie labbra, ora turgide ed infuocate per tutti i morsi che vi avevo inflitto in vani tentativi di soffocare il pianto, sullo stesso punto in cui lui aveva poggiato le sue, quasi rosse e ben definite, per bere.
Con questo ultimo gesto mi arresi, definitivamente , a singhiozzi sempre più intensi fin quando, non so bene a quale ora del mattino, esausta, mi addormentai.
~oOoOoOo~
- Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin....................
Aprii gli occhi con un sussulto, disorientata. Li richiusi subito.
Troppa luce.
Maledetta sveglia: la cercai alla cieca tastando il comodino con la mano, finché non sentii il suo suono smorzarsi sul pavimento, seguito da un tonfo.
I tappeti servono a non far rompere le sveglie.
Rimasi col braccio a penzoloni fuori dal letto, probabilmente mi riaddormentai per qualche minuto, finché non sentii la voce di mio madre che blaterava qualcosa in corridoio.
Con un grugnito degno di un porcellino, decisi che era ora di alzarsi.
Solitamente, mi svegliavo prima di alzarmi, ma quella non era un'opzione disponibile quella mattina.
Con gli occhi ancora chiusi, a fatica mi sedetti sul letto, muovendo le gambe.
- Tonf.
Cos'altro era caduto ora?
Cercai di aprire gli occhi, ma proprio non ci riuscivo.
La luce bruciava da morire.
Passai il dorso delle mani sulle palpebre, strofinandole.
Ahi.
Erano gli occhi a bruciare da morire.
Facendomi ombra con la mano, diedi una sbirciata e, quello che vidi, mi chiarì il motivo per il quale mi sentivo come uno straccio.
Ai piedi del mio lettino c'era la tazza di Edward.
In un attimo ricordai tutto e le lacrime minacciarono di uscire nuovamente dai miei occhi stanchi.
Poggiai i piedi in terra e mi trascinai al bagno per prepararmi.
Dopo aver cercato, invano, di sminuire il gonfiore agli occhi con l'acqua fredda, indossai le prime cose che mi capitarono, raccolsi tazza e vassoio e, zaino in spalla, mi diressi in cucina.
“ 'Giorno, Bells”
“Papà” gracchiai di spalle, mentre posavo gli oggetti sul lavello.
Gli sentii grugnire qualcosa, prima di udire lo stridio della sua sedia.
“Vado a preparare la macchina. Buona giornata Bells” e, con un bacio sulla testa, sparì nel corridoio.
Liberai un sospiro che non mi ero accorta di trattenere e mi voltai verso il tavolo.
Non avevo affatto fame ma decisi che, dal momento che non avevo dormito per niente, dovevo mangiare qualcosa, se non volevo farmi raccogliere col cucchiaio dal pavimento a scuola.
Presi coraggio, mi sedetti ed iniziai l'assalto forzato alla colazione.
Non appena raggiunsi il limite massimo di capienza imposto dal mio stomaco quella mattina, mia madre rientrò in cucina dalla sala della colazione.
Non mi azzardai ad alzare lo sguardo, ma la sentii ugualmente rilasciare dalla bocca un suono contrariato ed addolorato allo stesso tempo, un lamento.
“Isabella-”
“Mamma”
“Isabella... Che cos'hai?”
“...”
“Ti senti bene?”
“Sì, mamma” gracchiai.
“No che non ti senti bene”
“Mamma... non è niente”
“Senti che voce che hai... e guarda che faccia, che occhi !” mi rimproverò.
Scossi la testa.
“Ma hai dormito stanotte?”
Domanda retorica. Che non richiede risposta.
“Isabella, guardami” mise la sua mano sotto il mio mento per alzarmi il capo ma, non appena i miei occhi trovarono i suoi e vi lessero la preoccupazione, lo riabbassai.
“Isabella, tesoro... perché non hai dormito?”
“...”
“Lo so che hai pianto...”
Dovetti abbracciare tutte le poche forze che mi erano rimaste per non ricominciare.
“Io ti conosco troppo bene, piccola mia. Il tuo volto è così facile da leggere, è come un libro aperto...”
Rabbrividii solo al pensiero di chi poteva aver letto troppo sul mio volto.
“Riguarda Edward?”
Annaspai ed arrossii subito dopo. Come... come faceva a saperlo? Era veramente così evidente sul mio volto?
Anche per lui?
“Mamma...” riuscii a gracchiare un'ultima volta, ma con un tono ancora più strangolato. “Devo... andare. È tardi. A dopo”
“Bella-”
Mi chiamò, ma io ero già fuori dalla porta di servizio e, alla massima velocità che potevo permettermi in quello stato, raggiunsi l'uscita ed aspettai lo scuola-bus, che arrivò attimi dopo.
EPOV
Quel mattino mi sentivo più stupido del solito mentre varcavo i cancelli della scuola.
I miei occhi guizzavano da un lato all'altro, cercando Tanya. Fu lei a trovare me poco prima dell'ora di Inglese.
“Edward!” esclamò, mandandomi a finire il cuore in gola. “Allora, la ricerca?” incalzò.
Tirai fuori i fogli con mano tremante e con altrettanto tremante voce dissi “E-e-e-cc-o-la”
Lei la afferrò ansiosamente dalle mie mani, dando uno sguardo veloce, avido e superficiale a tutti i fogli. “Edward: sei veramente un tesoro...” disse, con la sua voce più zuccherosa.
Ora ero creta nelle sue mani, talmente rimbecillito da non rendermi conto che lei stava apponendo la sua firma appena sotto l'ultima riga, dal momento che io mi ero completamente dimenticato di firmarla.
Prima che potessi chiederle i fogli indietro per apporre anche la mia, lei mi voltò le spalle e volò verso il suo banco.
Il prof entrò in classe e ci sedemmo tutti.
Non sapevo cosa pensare, ma non potevo pensar male di lei.
Il signor Mason cominciò a chiedere le ricerche in ordine alfabetico e, quando pronunciò il mio cognome, Tanya balzò in piedi e proclamò:
“Professore? Sa, Edward è stato assegnato a lavorare con me...” disse, intrecciando i suoi boccoli attorno all'indice della mano destra.
“Ehm sì, signorina Denali, lo ricordo perfettamente” lui la adocchiò in modo... curioso.
“Bene. Eccola qui” uscì fuori dal banco e, avanzando in modo fluido e sinuoso, poggiò la ricerca sulla cattedra.
Il professor Mason la controllò brevemente e, una volta giunto all'ultima pagina, chiese, guardando me “Come mai qui c'è solo la firma della signorina Denali?”
Prima che potessi aprire bocca e, figuriamoci, riuscire a finire di pronunciare una parola per intero, Tanya rispose al posto mio.
“Oh, signor Mason: Edward non ha potuto passare molto tempo a studiare con me, così ho finito di prepararla io e stamattina... l'ho cercato per farlo firmare, ma avevo altre lezioni...” disse con tono innocente, facendo spallucce.
CHE COSA??????
“Mh, ho capito signorina Denali” il professore annuì verso di lei continuando a guardarla in quel modo, poi, rivolgendosi nuovamente a me “Mi aspettavo un altro tipo di comportamento da lei, signor Masen”
Deglutii nervosamente ed abbassai lo sguardo, perché non sapevo cos'altro fare.
Durante il resto della lezione non riuscii a concentrarmi molto. Il professore disse che avrebbe cominciato a correggere alcune ricerche durante il resto della mattinata.
Quando la campanella suonò, Tanya volò via con le sue amiche, mentre io mi trascinai fuori dall'aula come un sacco di patate.
Ogni tanto, tra un cambio d'ora e l'altro, la sentivo ridacchiare nel corridoio ed ogni sua risata mi giungeva come una pugnalata nel cuore...
Era come se stesse ridendo di me.
Cercai di sgrullarmi questo pensiero negativo dalla testa e c'ero quasi riuscito, senonché, a fine giornata, passai avanti il tabellone dei risultati delle verifiche, per controllare un eventuale tabella parziale dei voti sulle ricerche.
Cullen : 8/9
Denali : 10+
Lo stress accumulato durante tutta la mattinata sfociò in un istante e vidi rosso.
Quel 10+ era mio.
Quel 10+ Tanya se lo sarebbe sognato, se non fosse stato per me.
Come poteva quell'inetto del signor Mason pensare che una come lei, che non andava mai oltre il 6+ in tutte le materie, potesse aver creato la maggior parte di una ricerca da 10+ ?
Come poteva abbassare il voto a me per due moine di una minorenne?
Questo mi avrebbe abbassato la media.
Mentre la rabbia usciva ad ondate dal mio corpo, ecco di nuovo la voce di lei che sghignazzava ed esultava per il voto alto.
Ero lì, accanto a lei. Ero quello che le aveva regalato un voto così alto.
Ma ero anche trasparente.
Se ne andò, ancheggiando e saltellando, abbracciata ad uno dei suoi amici.
Non una parola, non un grazie, non un cenno.
Se la rabbia era trasparente, la delusione aveva un colore? Qualcuno poteva vedermi?
Camminai più veloce che potei verso l'uscita, dove Charlie mi attendeva in macchina.
Aprii lo sportello e mi ci buttai dentro.
“Tutto a posto, signorino Edward?”
Annuii, tenendo la testa bassa e lui non disse altro per il resto del tragitto.
A/N:
Avrei voluto mettere altro in questo capitolo, o almeno lo avevo ideato con altri contenuti aggiunti, ma sarebbe venuto molto più lungo di com'è ora e, a questo punto della narrazione, non lo trovavo particolarmente necessario.
Erase/Rewind è un racconto triste, toccherà punti più tristi di questo, quindi chi lo trovasse già troppo preso a male ora... deve cambiare idea!
Certamente, ci saranno anche parti dolci, passionali... non sarà completamente un pianto, ecco.
Ci tenevo particolarmente a raccontare questo passaggio, le aspettative di Edward che vanno in frantumi di fronte alla risposta fredda di Tanya... anche perché è collegato con ciò che accadrà subito dopo... ma sono costretta a dividerlo in due capitoli.
Ho, poi, messo il pov di Bella dopo quello di Edward per avere un certo effetto. Spero che vi sia arrivato.
Che ne pensate? Vi è mai capitato di stare “sotto” per qualcuno e lasciarvi manovrare completamente? Le revisioni sono sempre ben accette, ma se voleste parlarmi privatamente e raccontarmi qualcosa, sentitevi liberi di farlo (tranne che per le offese, questo non mi stancherò mai di ripeterlo).
Un bacio *