mercoledì 27 ottobre 2010

Erase/Rewind - capitolo 1 - C'è a chi importa e a chi no.

B-Pov


“È tardi, Isabella”

“Lo so, mamma” Le risposi, alzando gli occhi al cielo, senza farmi vedere da lei. Ma mio padre aveva deciso di passare avanti la cucina proprio in quel momento... e mi vide. Si fermò a guardarmi con un'espressione strana, quasi preoccupata, poi disse:

“Almeno se la beve la tisana?”

Sospirai “Certo papà, perché non dovrebbe?” Smisi di guardarlo. Quando faceva così, quando facevano così, tutti e due, spalleggiandosi, mi innervosivano.

“Magari non gli piace...”

“A chi non piace una tazza di tisana calda la sera prima di andare a dormire?”

Sapevo benissimo che gli piaceva: lo avevo visto annusare le mie confezioni più volte anni fa, da bambini, così mi decisi un bel giorno a bussare alla sua porta la sera dopo cena.

Mi aveva detto di entrare ma, quando mi vide, restò sorpreso e confuso nel vedere che ero io e non sua madre o suo padre. Cosa poteva volere la figlia dei servi a quell'ora?

Quando posai il vassoio con la tazza fumante e qualche zolletta di zucchero sul suo comodino, lo osservai avvicinarsi alla tazza ed inalare profondamente l'aroma che ne usciva denso.

Mi sorrise.

Arrossii e non seppi trattenere un sorriso di rimando, prima di girare i tacchi e sfrecciare via dalla sua stanza, sgattaiolando tra i corridoi della grande casa, per tornare nella nostra ala.

Avevo solo 9 anni la prima volta che gli portai una tazza di tisana a letto.

Ogni singolo giorno di ogni anno che era trascorso, eccezion fatta per quando uno di noi aveva l'influenza -lì erano i nostri rispettivi genitori ad occuparsi di noi- e del periodo estivo -durante il quale sostituivo la calda tisana con un bicchiere di thé freddo il pomeriggio e una limonata la sera- quella era stata la nostra.... la mia rutine.

Chi volevo prendere in giro? Era più una mia necessità la tisana: era una scusa bella e buona per intrufolarmi nel suo mondo quotidianamente, per poter avere un minimo della sua preziosa attenzione, per poterci scambiare due semplici parole e poter ascoltare la sua meravigliosa voce -sì, per me lo era- ogni giorno, ma, soprattutto, ogni sera... come se fosse la mia personale ninnananna.

“Se sei stanca gliela posso portare io, tesoro”

Devo aver sospirato veramente, e non solo col pensiero “No mamma, non ti preoccupare. Ci metto un minuto e poi vado a letto” Le annuii, presi il vassoio e mi avviai nei lunghi corridoi.


Questa casa era così silenziosa che, ogni benedetta volta che mi incamminavo verso la sua stanza, l'unico rumure che sentivo, forte, come se provenisse da un impianto stereo a tutto volume, era quello del mio cuore che batteva incessante all'impazzata, mischiato a quello dei miei respiri profondi, con i quali cercavo di calmarmi.

Non avevo mai incontrato i padroni la sera, fortunatamente: sarebbe stata una cosa abbastanza imbarazzante farmi trovare in questo stato di iperventilazione: la piccola quattrocchi-brufolosa-figlia-dei-servi che sbava dietro al loro unico figlio.

Appoggiai il vassoio sul mobile in mezzo al corridoio, tirai un ultimo respiro ed alzai la mano per bussare.

Toc-toc-toc.

x.x.x.x.x.x.x.x

E-Pov

Maledetta ricerca di Inglese. Era la decima volta che la rileggevo ma non mi convinceva affatto il risultato. Ci avevo passato una settimana intera, spulciando tra innumerevoli volumi in biblioteca e, riuscire a riassumere tutto quel materiale in così poco tempo, oltre a dover fare tutto il resto dei compiti, era stato un lavoraccio, soprattutto perché avevo dovuto farlo da solo.

Il professor Mason ci aveva diviso in gruppetti di due o tre per sbrigare questa ricerca di letteratura ed io ero capitato insieme a lei. Proprio a lei.

Non appena sentii pronunciare il mio nome abbinato al suo, mi sentii invadere da un'eccitazione indescrivibile, immaginandoci a studiare insieme, gomito a gomito, in biblioteca.

Tutta l'eccitazione svanì non appena lei mi si avvicinò, insieme al suo gruppo di amiche, dopo la lezione, dicendomi che lei era negata per queste cose, che la biblioteca la deprimeva e che il tutto sarebbe stato molto più costruttivo se me ne fossi occupato da solo.

Non riuscii a fare altro che annuire ed abbassare la testa.

Lei, sorridendo alle sue amiche che sogghignavano, mi diede un buffetto sul braccio e se ne andò.

Eppure io non riuscivo a darle la colpa di niente.

Quando pensavo ai suoi boccoli biondo fragola che ricadevano come soffici nuvole lungo le sue spalle, i suoi occhi azzurri come il cielo di Giugno, le sue labbra, così piene ed invitanti... Con quella voce che sembrava quella di un angelo, poteva dirmi tutto quello che voleva.

Io non ero nessuno per dirle il contrario. Nessuno.

Il fatto che ero figlio di una delle famiglie più potenti di Chicago era giusto abbastanza per evitare di essere preso di mira dai bulli della scuola, nonché perpetuamente deriso dalle cheerleader, di cui lei faceva parte... ma io, ero solamente cesso.

Un cesso ricco, ma pur sempre un cesso.

Alto e magro quanto un palo della luce, scoordinato ed impacciato, col mento sfuggente, il naso che tende leggermente da un lato, le sopracciaglia decisamente troppo folte e quest'ammasso di capelli che vanno dappertutto tranne dove cerco di mandarli.

Non ero nessuno per dire a Tanya che non era giusto e non poteva trattarmi così.

Non avevo nessun altro a scuola a cui chiedere di aiutarmi. Non avevo amici. Lì, in quella stupida scuola privata nella quale i miei genitori mi avevano iscritto, anche i meno ricchi cercavano di essere snob; anche i meno attraenti, come me, cercavano di rivalersi su qualcun altro.

Non c'era nessuno lì dentro che cercasse di lasciar vivere in pace il prossimo, tutti avevano sempre da dire qualcosa di sgradevole su qualcuno o da combinare qualcosa di spiacevole a qualcun altro.

Io ero esentato dal più degli scherzi e degli insulti solo per la mia posizione sociale privilegiata.

Quindi venivo ignorato.

Ero come un essere trasparente, un'entità che si aggirava in mezzo a loro e che veniva interpellata solo in caso di bisogno.

La ricerca era il bisogno di Tanya: il bisogno di non doverla fare.

Probabilmente -ma anche no-, se avessi avuto qualche amico che mi consigliasse su certe cose, avrei avuto il coraggio di dire, se non a lei, per lo meno a me stesso di smetterla di sottomettermi in questo modo.

Iniziai a leggere per l'undicesima volta la ricerca quando sentii un delicato sospiro dietro la mia porta.

Il sospiro di quell'essere minuscolo, ma tanto più forte di me, che era, se vogliamo, la mia unica amica.

Toc-toc-toc.

“E-e-en-t-tra, B-Bel-la”

Alto, secco, brutto ed anche balbuziente. Come avrei mai potuto dire una qualsiasi cosa a Tanya?

x.x.x.x.x.x.x.x

B-Pov

“E-e-en-t-tra, B-Bel-la”

Presi coraggio ed appoggiai la mia mano sulla maniglia della sua porta. Presi coraggio dalle sue semplici parole che ormai ripeteva da 5 anni a questa parte. Presi coraggio dalla comune consapevolezza che questa, forse in fondo, non era solo la mia routine, ma anche la sua.

Lui sapeva che ero io. Sapeva che ogni sera alla stessa ora passavo io a portargli un po' di conforto.

“Buonasera Edward. Com'è stata la cena, è andato tutto bene?” Chiesi, poggiando il vassoio sul suo comodino.

“S-s-sì, l-l-la c-, la c-cena er-ra b-bu-buon-a. F-f-f-a-a-i-i c-c-co-mpl-im-e-e-n-nt-i a-a-a t-tu-a-a m-m-ad-r-re”

Gli sorrisi ampiamente per incoraggiarlo e lui mi sorrise di rimando.

“St-a-a-a-s-s-e-ra ha-a-i g-g-g-g-ià m-m-es-s-so l'ap-p-p-pa-r-r-e-c-ch-io”

Cazzo! Non ci avevo neanche pensato. Ed ecco che il mio sorriso svanì.

“S-sei s-s-s-ta-a-an-c-c-ca?”

Scossi la testa “No, Edward”

“Ah, p-p-p-pe-e-er-ch-ch-é s-sol-li-ta-a-m-m-men-te q-q-qua-a-nd-o v-v-v….. S-so ch-che l-l-lo m-met-t-t-t-i sol-o p-p-prim-m-m-a d-d-d-di do-o-or-mir-e...”

Lo sapeva. Lo aveva notato. Non so se questo alleggerisse o appesantisse la figuraccia che avevo appena fatto. Solo che ora il sorriso era svanito anche dal suo di volto e lo aveva abbassato.

Ero sovrappensiero e l'ho fatto senza rendermi conto. Sarei stata capace di arrivare qui in pigiama stasera!” Sorrisi quando vidi che lui mi guardò di nuovo, per poi rendermi veramente conto di quello che avevo detto e vergognarmi profondamente. Scossi la testa sconcertata, ma lui rise ugualmente.

“Hey ma... Stai ancora studiando?” Chiesi, adocchiando i fogli che teneva in mano.

“D-d-dev-vo c-c-c-con-s-s-segn-gn-gnare q-q-qu-e-es-ta r-ric-c-c-cer-r-c-a d-dom-a-a-ni, ma-a n-n-n-o-n s-s-so-on-o s-si-c-cu-uro...”

“Vuoi che ci dia un'occhiata io?”

Lui mi guardò esitante per un momento, ma poi annuì e mi porse i fogli. Io afferrai la tazza e gliela offrii, inserendoci un paio di zollette di zucchero, seguite dal cucchiaino, prima di prendere in mano la sua ricerca.

“Tu bevi ed io leggo” Proposi e lui annuì nuovamente ma stavolta con più convinzione.

Mi fece spazio sul letto e mi sedetti accanto a lui.

Il suono del suo respiro, unito a quello della tisana che scendeva giù per la sua gola, erano incredibilmente rilassanti e sperai di non addormentarmi mentre correggevo gli errori nel testo.

Mi appoggiai momentaneamente verso la fonte di calore che era il suo corpo accanto al mio, ma mi ritirai subito.

La sensazione che provavo ogni volta che mi capitava di sfiorare il suo corpo era soffocante, non capivo più niente, sapevo solo di provare un immenso calore e di sentirmi sciogliere da capo a piedi.

Ora avevo bisogno di lucidità se volevo dargli una mano con questa ricerca e, approfittarmi della situazione, non era proprio il caso.

Sentii il suo respiro tra i miei capelli ed intuii che doveva essersi voltato a guardarmi mentre correggevo. Nel momento in cui l'aria si posò sulla mia pelle, oltre la coltre dei miei capelli, provai una serie di brividi che tentai di scacciare subito via.

“L-l-la t- la t-t-tis-a-a-na c-c-co-ome l-la f-f-fai t-t-t-tu è-,è s- è s-se-mp-pre l-la m-mi-gl-gl-gli-o-re”

Sorrisi, senza alzare lo sguardo dai fogli.

“Q-q-qu-a-an-d-d-do s-sto m-ma-al-e e m-me l-la p-p-po-or-ta m-m-mi-a m-, mi-a m-mad-re n-n-on è m-ma-i c-co-os-ì b-b-bu-buo-na”

A quel punto poggiai i fogli sulle mie gambe e mi voltai a guardarlo “Magari non la sentirai così buona semplicemente perché, avendo l'influenza, non riesci a sentire i sapori?” Dissi, alzando le sopracciglia.

Lui, invece, mi sorrise e scosse la testa.

Allora lo baciai. Sulla guancia, chiaramente, ma era troppo dolce a volte, non riuscivo a farne a meno.

Mi voltai per riprendere a correggere il testo, quando lui mise un braccio attorno la mia schiena e posò un tenero ma appena rumoroso bacio sulla mia guancia, in risposta al mio... o in ringraziamento a... non saprei, la tisana? La correzione? Bah. Quello che sapevo era che le sue calde e mordbide labbra sulla mia pelle erano sempre le benvenute.

Nonostante questo, non riuscii a fare a meno di arrossire violentemente; lui se ne accorse e rise in maniera lieve, lasciando il suo braccio dietro la mia schiena, appoggiando il peso del suo corpo sul palmo rivolto sul letto, arrivando lui, stavolta, a sfiorare me.

Non riuscivo a credere come lui potesse non provare ribrezzo o repulsione a baciare la mia guancia brufolosa; non che avessi un volto acneico, non erano tanti i brufoli ma c'erano. Mia madre diceva 'la normale quantità per un'adolescente', ma allora come mai tutte le mie compagne sembravano non averne?

Certo: fondotinta. Quello che mio padre non mi avrebbe mai permesso di mettere e al quale io, comunque, non avevo mai rivolto troppi pensieri. Non come le mie compagne, che pensavano solo a farsi belle, invece di studiare.

In pochi altri minuti terminai di correggere la sua ricerca e, mentre la rileggevo, lui si chinò verso di me, quasi abbracciandomi completamente, mentre si allungava per poggiare la tazza vuota sul vassoio e respirare profondamente indietreggiando.

“E-ecco f-fatto” Balbettai. Lui mi guardò malissimo. “Io, i-io n-non , non...” Arrossii di nuovo, ed abbassai la testa, mentre gli porgevo i fogli”

Lui afferrò le mie braccia e mi tolse di mano i fogli, ma non mi lasciò andare. Provai timidamente ad alzare lo sguardo per controllare la sua espressione, che si era ingentilita, pur conservando un pizzico di incredulità. Quando parlò, la sua voce era poco più di un sussurro.

“N-n-no-n s-s-s-sa-a-p-pe-vo c-che a-an-ch-e t-t-u b-ba-al-b-be-et-tta-s-si q-q-q...”

Deglutii rumorosamente, per cercare di calmarmi “Tutti balbettiamo quando siamo un po' nervosi, Edward” Anche la mia voce, ora, era poco più di un sussurro.

“N-n-e-er-vo-sa? P-p-pe-e-r-ch-ché s-s-e-...”

“È tardi, Edward” mi liberai dalla sua presa “Se non hai b-” Pensai a ciò che stavo per dire e me lo rimangiai velocemente prima che fosse troppo tardi. Il nostro orario di lavoro-quello dei miei -io non 'lavoravo', se non per Edward- era da tempo terminato e se gli avessi dato corda su questo argomento, non mi avrebbe fatta andare via senza che io potessi umiliarmi ulteriormente. Quindi, in mezzo secondo mi corressi “Io sono molto stanca, buonanotte” Dissi, alzandomi ed afferrando il vassoio.

“N-n-no. Il v-va-a-s-s-s-sso-io l-la-asc-scia-lo q-qu-i...”

Questo mi fece fermare un attimo, ma non mi voltai; continuai a dargli le spalle. “Perché?”

“M-m-mi p-pi-a-c-c-ce l'o-do-r-re d-d-de-l-l-la t-t-ta-a-z-zz-a”

“Mia madre fa una doppia fatica ogni mattina per questa mia.... gentilezza... Edward. Buonanotte” E così fui fuori dalla sua porta in un attimo. Mi appoggiai su di essa una volta che l'ebbi chiusa alle mie spalle e rilasciai un respiro che non mi ero accorta di aver trattenuto; e sospirai, nuovamente.



A/N:
So di avere altre fic da finire e altre in coda da iniziare. So anche di essermi proposta come beta ad una ragazza ma non sono più andata a spulciare la risposta (su EFP non arriva una replica se si risponde ai commenti, quindi ancora non so bene come funziona).
Solo che l'altra sera, mentre facevo il bagno, mi è venuta in mente questa storia. Il giorno dopo ho iniziato ad appuntarmela e, benché fosse la seconda nuova fic che avevo appuntato in un paio di giorni, ieri sera non ho potuto fare a meno di cominciare a scriverla. Ne ho sentito la necessità. Forse per 'sfuggire' al dovere di proseguire le altre o forse per sfuggire solo alle sensazioni che mi danno le altre. O semplicemente avevo solo bisogno di raccontare questa storia.
Stavolta si tratta di un qualcosa di cui so i punti principali ma non so ancora come si svolgeranno tutte le vicende... Se la cosa andrà bene, la storia nascerà di volta in volta, quindi sarà una sorpresa anche per me.
E' una storia che sembra molto più leggera di quello che è in realtà.
Ha ingannato perfino me, ma mi sono resa conto del reale contenuto di ciò che scrivevo solo dopo aver scritto ogni singola parola.
Anche qui qualcuno (o molti, ma spero di no) potrebbe non essere d'accordo con i temi che andrò a trattare, che non saranno facili e non riguarderanno sempre cose di cui posso parlare per esperienza... Quindi se, durante il cammino, qualcuno dovesse avere qualcosa da consigliare (come al solito, con gentilezza e le buone maniere) o volesse darmi la sua testimonianza (anche in pvt) sarò pronta a farne tesoro.
Il titolo del capitolo, come sempre, è nato dopo averlo scritto e racchiude l'essenza di una caratteristica contrastante dei caratteri di Bella ed Edward... L'avete colta? Se sì, provate a dirmi cos'è, secondo voi.
Se riceverò abbastanza commenti anche su questo (la questione del titolo), lo svelerò nella prossima puntata :) Ma penso che lo capirete leggendo e continuando a leggere.